Primal Fear Official Website
Powder Sonic Dynamite Cover
Artist: Primal Fear
Location: Germany
Line-up: Ralph Scheepers (vocals), Stefan Leibling (guitar), Henny Wolter (guitar), Matt Sinner (bass), Klaus Sperling (drums)
Album: Black Sun
Label & Pubblication Year: Nuclear Blast, 2002
Tracklist: Countdown to insanity / Black sun / Armageddon / Lightyears from home / Revolution / Fear / Mind control / Magic eye / Mind machine / Silence / We go down / Cold day in hell / Controlled
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Vi avverto, sarò estemporaneo, logorroico nel descrivere un album per il quale basterebbe la forma più prolissa di sempre. Voglio togliermi lo sfizio di dedicarmi alle disquisizioni, al mettere in luce il mio opinabile pensiero sul panorama di questo metal settorializzato targato 2000. Inizierò con il presentarvi i Primal Fear sotto una luce probabilmente diversa rispetto a molte altre. Ho letto e ascoltato discussioni estenuati riguardo la veridicità e credibilità della proposta dei Panzer, sul loro fotocopiare, sulla loro cronica mancanza di originalità, sul loro riciclare idee preistoriche totalmente derivanti da Accept e Judas Priest. Impossibile negarlo, le bands citate sono le principali fonti di ispirazione per i Fear. Vorrei comunque umilmente guidarvi alla base della genesi sonora del loro stile libero dall’ingombro del paragone. Oggi siamo abituati a vedere sorgere gruppi dal nulla, creati ad arte da qualche etichetta ed elevati in breve tempo a nuove sensazioni del metal. Ma i Primal Fear sono una delle più fulvide eccezioni, l’unione fra gli ottantiani Sinner e Tyran’Pace rispettivamente guidati da Matt (bass, vocals) e da Ralf Scheepers (successivamente in forza nei Gamma Ray). La fusione fra il sound dei peccatori di “Nature of evil” targato ’98 (l’album più heavy-oriented ed oscuro della loro discografia) e i Pace di “Long live metal” datato ’85 sono le fondamenta dell’attuale combo tedesco. Certo l’originalità non è mai entrata a far parte del DNA di questi personaggi e le loro creature non sono mai decollate veramente, nonostante la passione e la dedizione profusa. Ma dopo 15 anni di gavetta, qualcosa è cambiato e la sorte è stata benevola. Per questa ragione mi sento di conferire ai Fear la palma dell’abnegazione al duro lavoro. L’iniziare a vendere una buona quantità di copie è un’arma a doppio taglio, uno status che a lungo tempo può nuocere gravemente alla salute! Arrivando al punto i Sinner non hanno mai scritto albums rivelatisi sterili copie dei loro predecessori (dal più acerbo ma validissimo hard-rock oriented “Comin’out fighting” del ‘86 al più heavy “Judgement day” del ‘97) e i Tyran'Pace, periodo Scheepers, hanno diversificato la loro proposta, mentre i Fear ci propongono ogni anno la stessa zuppa, fritta con “Nuclear Fire” e piu o meno strafritta con “Black Sun”. Adesso pensate di essere diventati, dopo anni di anonimato e sudore, i capo redattori di un qualsiasi quotidiano, con i vostri lettori in totale adorazione per una tradizionale rubrica che avete sempre trovato spudoratamente pacchiana. Come reagire di fronte ad un simile dilemma? Forse cancellereste tale spazio mettendo a repentaglio il dolce suono di tante monetine pronte a riversarsi in un monumentale salvadanaio a forma di porco? Credo che Matt & company si trovino proprio in questa situazione e probabilmente vi resteranno fino a che vi sarà una schiera di adoratori pronti a ricomprare per 10 volte lo stesso prodotto, dotato di copertina differente, in nome dell’artefatto sistema a titolo “true metal”! Sinceramente vedere persone che insultano e lanciano bottiglie sulla testa di Tommy Lee durante le passate edizioni del Gods of Metal mi ha fatto riflettere su questa mania di discriminare, di sezionare il rock fra generi e sottogeneri, di credersi unici depositari di una verità introvabile! Ovvio una divisione può essere utile in ambito di recensione e vendita ma non nelle menti delle persone. Vi consiglio di ascoltare musica a 360° e fra questo di scegliere la proposta più stimolante senza creare condizioni pericolose o estremismi di sorta. Vivi e lascia vivere! Venendo al punto l’album in questione è come al solito cantato stratosfericamente da uno dei pochi eredi del grande Rob Halford e suonato chirurgicamente da musicisti esperti. Le atmosfere risultano per certi versi più riflessive ed oscure rispetto al precedente lavoro, così come implicitamente annunciato dal titolo e dai colori cupi della copertina. I tempi medio-veloci, scanditi da squadrati e granitici riffs made in Sinner anni ‘90, la spuntano sugli episodi speed oriented unicamente rappresentati dalla ruvida “Fear” e da “Controlled”, lasciando spazio al sostenuto metal anthem di “Lightyears from home”, alle power ballad dall’alto tasso energetico di “Silence” e “Magic eye” e alle più tipiche “Revolution” e “Mind Control”. L’unica misera evoluzione sembra relegata alla volontà dei Fear di rendere le strutture delle songs lievemente più complesse ed eterogenee rispetto al passato. Tuttavia l’ascolto mi ha lasciato per buoni tratti indifferente e spento il lettore mi ha assalito un profuso senso di incompiutezza colmato con la messa in onda del precedente e nettamente superiore “Nuclear Fire”! Con rispetto, che barba, che noia, che barba , che noia…

Recensione Realizzata da Bruno Rossi.
Vote: 6,5